Concerto per immagini: allegro ma non troppo
La decodificazione di un linguaggio che si nasconde dietro l’apparenza delle immagini si traduce in un insieme di segni magistralmente orchestrati in composizioni vivaci e dinamiche. tutto questo nasconde al suo interno l’amarezza verso quella realtà che difficilmente riusciamo ad accettare.
Lo sguardo di Anna Esposito si aggira all’interno della società e avendo la capacità di entrare nel profondo, nell’essenza degli elementi, di andare oltre l’apparenza, ne svela inevitabilmente gli inganni, i tranelli e i paradossi: il tutto diluito in una rarefatta atmosfera di leggerezza. la stessa leggerezza che accompagnava i dissacranti ready-made di Duchamp o l’apparente ingenuità degli objets trouvès del nouveau Realism. E sebbene anche qui si parta dall’oggetto reale, dal dato tangibile, nell’opera della Esposito non c’è però una critica verso l’arte o l’attenzione al fascino dell’oggetto consumistico tout-court, ma al contrario una denuncia che si serve di fattori tangibili ed elementari per comprovare la sua validità. Adoperando una casistica visiva molto comune la Esposito cerca di arrivare in modo diretto alle coscienze. È la materia che parla, l’uso particolare che l’artista ne fa che permette di dissolvere la patina dell’apparenza e di denudare la verità.
Anna Esposito si muove da quarant’anni sul palcoscenico dell’arte contemporanea senza mai ambire ad un ruolo da protagonista. Più che in proscenio si aggira tra i fondali, più che nel coro fa sentire la sua voce in un “a solo”. L’artista svolge infatti un percorso indipendente e del tutto personale, camminando parallelamente ai movimenti artistici che si succedono durante questo lungo arco di tempo. il suo modus operandi tuttavia risulta quanto mai vicino alla realtà socio-culturale, dal momento che prende spunto da un mondo fatto di soggetti comuni, quotidiani, di scenari colti all’improvviso e successivamente rivisitati secondo una singolare chiave interpretativa. Anna Esposito, partendo da un dato reale o da un’immagine ne rivoluziona i registri semantici, ribaltando la sua originaria identità tramite l’efficace uso dell’ironia quale strumento di denuncia. non ci troviamo infatti di fronte ad un artista che scandisce per fasi e secondo uno sviluppo lineare il suo operato: non c’è un evoluzione che miri a trovare la soluzione di una ricerca, bensì una molteplicità di soluzioni possibili che sembrano riproporsi ciclicamente in un’incessante sperimentazione su linguaggi e materie.
Il catalogo che segue il percorso della mostra “L’apparenza inganna” parte dalla primissima attività artistica della Esposito: le serie delle Abrasioni e dei Manifesti, opere che si concentrano intorno agli anni ’70-‘72. Questo dato cronologico porta ad un’analisi approfondita e a una riflessione circa le modalità con cui un’artista così indipendente interpreti il fenomeno dell’arte Pop. A dispetto di quest’ultima, Esposito riesce a trovare il paradosso non nel messaggio consumistico o nell’annullamento di ogni giudizio autonomo, ma nel mezzo stesso di divulgazione: il manifesto.
“Un Rotella senza Rotella”, come commenta Maurizio Fagiolo in un’intervista del 1976; un manifesto non ripreso direttamente dai muri della città (e dunque nulla a che vedere con le soluzioni rotelliane) ma la rappresentazione mimetica di esso tradotta nel linguaggio pittorico, e dunque sviluppata sulla finzione del messaggio e sulla simulazione dell’oggetto stesso, quasi fosse una doppia negazione che annulla di fatto la sua credibilità.
Anche nella serie delle ‘abitazioni’, la ripetizione e la denuncia della massificazione non viene provocata per mezzo di una riproduzione incessante e meccanica dell’oggetto, ma tramite una personale vis creativa: attraverso le assonanze visive viene infatti riproposto l’oggetto, investito di una nuova fisionomia quasi umoristica.
Ad un livello di lettura più profondo, rispetto a dei parametri e a delle definizioni critiche comprovate, e avvicinandosi ad esse senza mai toccarle del tutto, sembra che Esposito fornisca delle interpretazioni inedite, come a volersi burlare del concetto stesso di definizione. così accade per la serie dell’optical, dove le prospettive multiple, non di oggetti meccanici o geometrici ma di soggetti anatomici, si ripropongono sempre con un evidente atteggiamento ironico. Allo stesso modo agli inizi degli anni ’70, sfiorando le corde della poesia visiva in un’opera come Raffica (1972), dove la ripetizione dell’imma- gine è accompagnata dalla riproduzione onomatopeica del segno grafico, Anna Esposito comincia a giocare sui molteplici livelli linguistici ma solo dell’immagine.
Con questa mostra si rende omaggio alla carriera di un’artista che ha saputo, con un codice semplice e diretto, far trionfare la creatività in un assolo dalle infinite sfaccettature.
Per questo è nata la necessità di articolare il percorso in nuclei tematici ognuno dei quali ramificato in sottotematiche ordinate secondo un’evoluzione cronologica. l’attualità degli argomenti trattati spinge Esposito a sperimentare con le tecniche ma a riprendere gli stessi concetti anche a distanza di tempo; si ha l’impressione che tutto il suo lavoro sia costellato di punti fissi sui quali ciclicamente l’artista tende a tornare offrendo nuove interpretazioni tecniche e concettuali. Basti pensare al tema dell’ambiguità, ad esempio in Ripetizione e Molteplicità incentrato sull’analisi formale dei caratteri espressivi e comunicativi più inflazionati, dove Esposito mediante la ripetizione gioca con la percezione dello spettatore dirigendola verso una realtà in cui ogni interpretazione diventa possibile, e dove si assiste all’affascinante metamorfosi del mondo animale in un continuo sdoppiamento tra il macro e il microcosmo. Altri raggruppamenti come Effetto Donna raccontano invece le varie declinazioni di una femminilità vissuta nella propria interiorità ed esteriorità, l’essere e l’apparire: dalla donna vittima di un ingannevole ruolo imposto, alle sensualità viscerali delle sue emozioni più intime.
la straordinarietà del lavoro di Esposito sta proprio nella difficoltà di poter creare delle vere e proprie categorie con cui classificarla. un’attività artistica stratificata, da un livello più elementare e immediato fino a quello in cui il gioco esercitato sui registri semantici diventa di una tale complessità interpretativa da farsi vertiginoso. le opere di Anna Esposito sono infatti scatole tridimensionali dalla complessa struttura, dove la presenza di ogni minimo elemento è funzionale all’equilibrio di una architettura perfetta.
Tramite piani linguistici variegati e multiformi, il lavoro di quest’artista viene vivificato da una pulsione creativa inesauribile che sfrutta diversi mezzi espressivi: dalla pittura acrilica alla carta da riciclo, dal collage alla fotografia, dalla stoffa alla plastica. l’abilità di Esposito consiste infatti nel trovare continuamente stimoli dall’esterno e nel plasmarli criticamente in realtà surreali che conservino però il graffiante segno della denuncia.
Eva Clausen e Maria Chiara Salmeri