Emanuela Garrone

Anna Esposito nell’ambiente artistico romano del dopoguerra

il percorso artistico di Anna Esposito s’inserisce e attraversa creativamente gli ultimi cinquant’anni di vita culturale italiana, particolarmente romana. Attiva sin dagli anni ‘60 – la sua prima mostra risale al 1966 – le sue operazioni visive non cessano di meravigliare chi le osserva ancora oggi. stupisce infatti trovare un’artista così coerente: nel mondo volubile dell’arte, in cui le correnti e le mode si sovrappongono e si scalzano una con l’al- tra ad una sempre maggiore velocità, è raro trovare qualcuno che porti avanti nel corso di decenni la propria poetica senza cedimenti, anzi evolvendosi continuamente all’in- terno della medesima linea di ricerca.

Nell’Italia degli anni ‘60 artisti come Rotella, schifano e la stessa Esposito esplorano l’ambiente circostante considerandolo stimolo di possibili operazioni artistiche. la città è il centro dell’evoluzione della società italiana: l’urbanizzazione di massa, il consumismo e, parallelamente, l’affermazione del cinema come straordinario strumento di comunicazione e di critica sono considerati dagli artisti delle arti visive punti di riferimento imprescindibili. La città, o la campagna urbanizzata, si pone come esperienza di vita in cui avviene il passaggio, talvolta difficile, dall’adolescenza ingenua alla consapevolezza adulta e dalla dimensione individuale a quella collettiva.

Tra gli anni ‘60 e gli anni ‘70 i muri delle grandi città italiane parlano. il consumismo di massa si afferma come fenomeno sociale non più transitorio, la contestazione giovanile esplode nei movimenti studenteschi.
Gli artisti più sensibili sentono il bisogno di sintonizzarsi con le forze emergenti, innovative e vitali della società: i giovani e le donne. È infatti in questo momento storico, oggi considerato molto lontano dalla sensibilità attuale e criticato da più parti politiche, che nascono le esperienze creative il cui obbiettivo è rendere l’arte parte integrante della vita sociale e del progresso collettivo. A questo scopo è considerato indispensabile il rinnova- mento delle tecniche espressive e il confronto con le altre esperienze creative. Perciò cambiano le tecniche artistiche, cambiano i luoghi dell’arte. le gallerie diventano centri di happening e cambia il pubblico a cui gli artisti si rivolgono: non più l’élite d’intenditori e collezionisti ma sempre più vasti strati della società, considerati da artisti e critici come possibili fruitori delle opere d’arte e, quindi, attivamente ricercati.

Conseguente a questa visione è il bisogno di elaborare un nuovo linguaggio e, per arrivare a questo, si considera indispensabile partire dalle innovazioni già acquisite: il cinema italiano ha già conquistato il pubblico nazionale e internazionale. L’immaginario collettivo è stato travolto dal cinema imperante e i manifesti, con in effige film e divi, popolano i muri delle piazze e delle case degli italiani.

È partendo da queste immagini prodotte dall’industria cinematografica e diventate rapidamente parte della fantasia degli italiani che artisti come Esposito intervengono creativamente. l’attenzione di quest’ultima si concentra sul manifesto come forma di comunicazione di grande impatto visivo, in grado di veicolare i più vari messaggi: forma di propaganda ideologica, pubblicità ai generi di consumo, stimolo ai bisogni tanto superflui quanto inappagati.

Il manifesto è, in realtà, l’espressione di tutto ciò che vorremmo avere e che, con tutta probabilità, non avremo mai. o, forse, dopo essercene impossessati ci renderemmo conto della sua intrinseca inutilità. È proprio questa contraddizione che un’artista intuitiva come la Esposito ci fa cogliere nelle sue opere. Manifesti strappati, o meglio, pezzi di manifesti strappati e reincollati su tela, riadattati, e ridipinti che assumono significati altri. Queste operazioni creano lo scarto semantico che determina e dà il senso all’opera realizzata dall’artista romana. non operazioni mimetiche, ma un gioco combinatorio d’immagini e significati che s’invertono, slittano semanticamente, assumono sensi diversi e imprevisti ed il cui obbiettivo dichiarato è far sì che il fruitore colga l’assurdo e le contraddizioni interne al nostro modo di vivere e di pensare.
Contestazione e rifiuto della società dei consumi sì ma, a differenza di altri artisti di questo periodo, le opere prodotte dalla Esposito dissacrano non solo il fenomeno del consumismo in sé, ma anche la frustrazione che esso genera in ciascuno di noi. È la coscienza individuale che l’arte dell’Esposito tende a risvegliare. deve essere in ciascuno di noi la consapevolezza dei limiti e delle contraddizioni della società in cui viviamo. Guardia- mole con attenzione le opere di Anna Esposito. sono, talvolta, di non immediata comprensibilità. Bisogna saper stare al suo gioco, essere disposti a comprendere che ciò che diamo per scontato non è tale.
L’immagine di soldati con la testa che diventa un cocomero, o le ironiche allusioni in Effetto donna hanno l’obbiettivo di svegliare le nostre coscienze. la realtà non è mai banale per chi sa sinceramente guardarsi intorno. Quello della Esposito è uno sguardo disincantato, ironico ma mai cinico. Mentre grandi artisti come Rotella, schifano e Manzoni nello stesso arco di anni, hanno dato una visione duramente critica della società, fino a trasmettere un senso intimo di sfiducia verso l’umanità e di disperazione anche sul proprio ruolo di artisti nella società, Esposito mantiene un suo intimo candore che consente, a chi guarda, di sorridere e non deprimersi.

Proviamo a guardare con un po’ d’ironico distacco il mondo che ci circonda, troveremo molte assurdità da cui è bene sapersi difendere ma con un sorriso, con una battuta di spirito, mai con aggressività. È in questa chiave che va letto il lungo iter creativo dell’artista romana, pienamente rappresentata in questa esposizione. la capacità di modificare criticamente il proprio punto di vista significa, in ultima analisi, essere consapevoli che tutti siamo parte di questa società ma ci sono molti modi di starci. l’arte della Esposito c’in- duce ad un’ironica consapevolezza, ci stimola a cogliere quanto di ossessivo c’è nelle rap- presentazioni, ad esempio, del sesso nella pubblicità e nella televisione. Viviamo oggi in un’atmosfera sociale di forte omologazione, in cui la stessa critica d’arte non è sempre in grado di marcare il proprio punto di vista e tende invece ad acquietarsi sul già noto. È in- vece osservando le opere di un’artista come Anna Esposito che si può capire come, in un recente passato, le cose non stavano così: ci sono stati e ci sono fortunatamente artisti che sanno criticare e denunciare gli aspetti negativi del mondo in cui viviamo.

È dall’inizio degli anni ‘70 in poi che le opere dell’artista romana ci parlano di noi e comunicano con noi anche tramite l’accumularsi e il sovrapporre di manifesti strappati, ritagliati e incollati e su cui l’artista interviene per rendere ancora più evidente il senso dell’effimero, del transitorio. in realtà la tecnica del décollage utilizzata da molti artisti non è affatto così semplice come sembra. come mi ha detto la stessa Esposito nel nostro incontro “… bisogna saperli strappare i manifesti…”. la capacità di strappare nell’ottica di riutilizzare richiede un doppio controllo sull’operazione tecnica: i pezzi infatti sono poi trattati con il colore, caratteristica questa della Esposito, e con le colle fino a farne un’opera compiuta. si realizza così un gioco d’incastri e sovrapposizioni che attira e meraviglia lo spettatore. ci vuole però un’attenzione maggiore per comprendere le allusioni e i doppi sensi che l’artista realizza nelle sue composizioni. la Esposito usa brani di manifesti o talvolta immagini già definite per trasmettere il messaggio opposto, per contraddire il significato stesso del messaggio pubblicitario tramite un gioco d’immagini e di parole, come in Orco Condito.
Un’altra cosa che colpisce osservando le opere dell’artista romana è la consistenza materica dei suoi lavori. nei suoi esordi giovanili la Esposito aveva studiato scultura con Fazzini e il senso volumetrico delle sue opere lo testimonia. non solo l’immagine non è mimetica ma spesso non è piana, non si risolve nella bidimensionalità ma, al contrario, è aggettante, sporge verso il fruitore. si tratta dunque di opere materiche, interpretando questa definizione in senso lato. Burri è, a mio avviso, il vero maestro ideale di Anna Esposito. come Burri, la Esposito lavora la materia, la trasforma, la cambia di dimensioni e consistenza così da attuare una trasformazione di senso. comune ad entrambi è l’apparente casualità, ma è vero esattamente il contrario: nulla è frutto d’improvvisazione, bensì di studio e riflessione. come il suo maestro ideale la Esposito è sempre stata ed è tutt’ora una voce fuori dal coro, un’artista che ha pagato a caro prezzo la coerenza di chi è e si sente libero, e quindi non accetta condizionamenti.
Chi conosce gli ambienti artistici sa quanto, dietro le pose apparentemente trasgressive e libertarie ci sia un bisogno, talvolta patologico, di affermazione e riconoscimento. Questo ha sempre portato ad una forma di conformismo, o quanto meno di adegua- mento a trend e mode, che in molti casi ha rovinato artisti e critici. È infatti questa necessità di riconoscimento a tutti i costi, oggi ancora più sentita che qualche decennio fa, che ha sempre generato l’imperante conformismo a cui assistiamo quotidianamente. i veri anticonformisti sono pochi: Burri lo è stato senz’altro, lo è stato Brandi nella critica d’arte. sono stati dei grandi isolati, magari famosi ma spesso incompresi nella loro intima essenza.
In parte lo è anche Anna Esposito ed è per questo e a maggior ragione che oggi siamo veramente felici di poterle dedicare una mostra, qui a Palazzo Venezia.

Avere il coraggio di cogliere in flagrante le contraddizioni di un’epoca e di un costume sociale universalmente accettato, mettere il dito sulla piaga di tante forme di stupidità collettiva è, a mio avviso, sano e socialmente utile. Ma non rende simpatici ai più. Anzi espone a critiche e incomprensioni, soprattutto ad una sorta d’isolamento; le maggioranze si difendono isolando chi dissente e non si adegua. Questo è successo ad Anna Esposito come a tanti altri autentici artisti. Alcuni si sono arenati e lei no. combattiva, ha portato avanti le sue ricerche continuando a produrre opere di grande rilevanza artistica e sociale come nelle opere degli anni ‘80 e ‘90, in cui il problema ecologico è costantemente presente. Il rinnovamento tecnico ha sempre accompagnato l’evoluzione poetica e le opere degli ultimi anni testimoniano la freschezza e la voglia di creare che animano anche oggi la sua vita e la sua attività artistica. dobbiamo esserle grati per la testimonianza di vita e per il suo lavoro che sono un dono, uno stimolo sincero a riflettere su noi stessi e sul mondo in cui viviamo. E questo in un momento in cui di stimoli e di autentica capacità critica ce ne è poca. sta a ciascuno di noi fruire consapevolmente di queste opere.

Emanuela Garrone