Elio Pecora

Il gioco si fa serio

si può nominare l’“estro”? dal greco “oistros”, puntura, quella del tafano, significa per estensione desiderio violento, impeto della mente, stimolo, furore, “commozione vivissima del sentimento e della fantasia”. Appartiene tutto questo all’opera di Anna Esposito per la spinta immediata che se ne riceve e per la mescolanza di ragione e invenzione, gioco e giudizio, irrisione e compassione. se poi commozione è muovere dentro, il mondo vi si compone e scompone per un’epifania che ogni volta sorprende, lacera, diverte, sovverte.

Viene da lontano un tale operare fra sovversione e quiete. scaturisce dal pensiero che s’interroga, da una scontentezza che non si risparmia e pure cerca uscite dalla prigione del mondo. le cerca reinventando la società degli uomini e degli oggetti, degli animali e delle piante, e il susseguirsi delle stagioni e delle storie nel tempo senza soste dell’esistenza. le reinventa accostandone i frammenti, scollandone e incollandone le scaglie infinitesime.

ne accelera i movimenti, ne scompiglia le trame, e quanto pareva ritrarsi e contrarsi si palesa in una inattesa metamorfosi, quanto pencolava nell’indistinto e nel vuoto s’accinge a una nuova apparenza. in tanto apparire la giornata terrestre si consuma e ripete mai definitivamente cancellandosi.

sono vari i materiali adoperati da Anna Esposito e diversi i piani sperimentati, ma tut- ti diventano strumenti di una visione continuamente dilatata e rappresa e, prima ancora, di un’inquietudine prossima al divertimento se travalica l’ansia e la disperazione e incide con leggerezza in chi guarda e comprende, così da lasciare un segno durevole e un reale mutamento insieme alla grazia del dono.

non invadono queste opere, né sovrastano la percezione; piuttosto subito sorprendo- no, anche stupiscono: lo stupore del bambino che scopre un altro aspetto della realtà. Allora l’inganno si rivela la sola possibile verità, l’artificio traveste la naturalezza e la contiene, la sapienza è una strada di ombre.

Pochissimi artisti del nostro tempo hanno giocato e giocano così tanto, e così seria- mente, come Anna Esposito. sono numerosissime le sue opere lungo un quarantennio e altrettanti i temi e i traversamenti. Non mancano gli azzardi, le sentenze a sorpresa, le accensioni irridenti: non mancano le tenerezze, gli abbandoni la sirena, la tigre, le gabbie in volo, la gru d’acciaio – dinosauro, il nido d’uccello sulle nuvole. C’è che tutto può diventare altro, mescolarsi, uscire dal possibile e vagolare nel sogno, nel riso che annienta il potere, nella religione che mente addobbandosi, nel- l’esercito di soldati-oche, nella baracca-navigante, nello spazio dilatato di echi. tutto può significare un di più che non è rivolta né caos, ma attesa di un altrove che pacifichi, accordi.

E poi le moltitudini, degli edifici, delle città ridotte e insieme esaltate in una pellicola; lo stare insieme in una ressa, in un respiro comune che assorda e, mentre impaurisce, conforta. Non esiste la morte in queste opere perché è la vita che vi si logora e irretisce, vi si ingarbuglia e si snoda. Le percorre tutte, proprio tutte, un’ironia lieve e vigilata, che vede da lontano, amara e amabile misura di un’intelligenza che è legame con la “cosa” e insieme godimento del vedere, misura del restare.

Elio Pecora