Claudio Strinati

Oltre l’apparenza
Questa mostra ripercorre molti anni di attività di un’artista che ha costituito un “corpus” di opere imponente e significativo e che a pieno diritto può e deve essere considerata figura di spicco nella storia dell’arte italiana attuale. le peculiari capacità di indagine e disvelamento della Esposito, rispetto al vasto patrimonio di immagini da lei indagato nel corso della densa carriera, sono state ripetutamente e opportunamente messe in luce. così come è stato più volte rimarcata, e anche in questa occasione, la sua acuta attitudine ironica connessa con una continua sperimentazione sulla materia e sul linguaggio stesso. se la sua arte è in qualche modo connessa con la dimensione “pop”, specie per quel che riguarda l’acclarato rapporto con Mimmo Rotella, è altrettanto vero che se c’è un’artista da sottrarre a qualunque criterio definitorio questa è proprio Anna Esposito, libera da condizionamenti e dall’ossequio a una qualsivoglia “scuola”, mai ripetitiva eppure coerente e consequenziale dalla prima all’ultima opera tanto che un esegeta acuto come Elio Pecora ha piena ragione, riflettendo sul lavoro della nostra artista, quando ribadisce la sorpresa e quasi lo sbalordimento che prendono l’osservatore. nell’opera di Anna Esposito “tutto può diventare altro”, ha detto Pecora e questa formula critica sembrerebbe avere valore definitivo nel porsi di fronte all’intera parabola dell’artista. tuttavia questi elementi della sorpresa e della trasformazione incessante delle forme vanno da un lato rimarcati ma dall’altro vanno indagati ancora perché in questa dialettica sembra consistere proprio la quintessenza del lavoro della Esposito, la quale in più occasioni ha voluto ricordare il carattere profondamente etico della sua arte che nasce anche dall’indignazione di fronte all’inquinamento e dal disorientamento dell’esistenza per arrivare, sia pure con lo strumento privilegiato ed efficacissimo dell’ironia, a una dimensione di umana pietà e compassione per le vicende dell’esistenza attraverso una lettura a più livelli, nessuno dei quali deve essere ignorato per arrivare a una piena comprensione della sua arte.

Questa trae le sua origine prima da una indagine, poetica e scientifica insieme, sulla percezione in sé e sull’attitudine combinatoria che è intrinseca all’artista esaltando- ne, peraltro, anche quella componente teatrale e rappresentativa sempre notata nella sua opera. se, allora, andiamo a indagare sulle origini dell’arte della Esposito ci accorgiamo che queste possono essere rintracciate in una serie di dati emotivi ma anche nell’esito di precise indicazioni metodologiche promananti dalla grande tradizione scientifica della Gestalttheorie che era profondamente penetrata in Italia negli anni sessanta del novecento. in una memorabile introduzione premessa all’edizione italiana del classico di Rudolph Arnheim Art and Visual perception a psychology of the creative eye pubblicata dall’università della California nel 1954, ma giunta a noi ap- punto all’inizio degli anni sessanta e più volte ristampata, Gillo Dorfles spiegava i presupposti speculativi di quest’opera fondamentale di Arnheim (poi resa sistematica dal grande studioso nell’altro suo libro Visual Thinking del 1969) appunto sulla base della teoria della Gestalt spiegandola con questa sorta di definizione: “l’esperienza, dunque, non considerata più come derivata dai dati di sensazioni parcellari e di- stinte attraverso un ipotetico processo associativo (quale un tempo si postulava sul- la base di una teoria della specificità delle formazioni nervose e della specificità del- le singole sensazioni elementari trasmesse alla corteccia cerebrale) ma, invece, come costituita da degli insiemi percettivi già in un certo senso precostituiti e organizzati in maniera significante”.

in un certo senso i presupposti profondi del gioco combinatorio della Esposito, peraltro in sottile equilibrio con la sua esplicita dimensione femminile del fabbricare e col- legare insieme, sono proprio quelli illustrati da Dorfles e che la nostra autrice ha attivato non certo in base al complesso argomentare speculativo della teoria gestaltiana ma per una spontanea attitudine a vivere in prima persona quel tipo di impulso creativo che i tempi, appunto sul finire degli anni sessanta, sembravano implicitamente richiedere. Arnheim, del resto, quando nel celebre trattato giunge al capitolo sul- l’espressione, indaga proprio nella direzione su cui la Esposito si era già spontanea- mente orientata. dice infatti lo studioso: “ogni opera d’arte deve esprimere qualcosa: ciò significa innanzitutto che il contenuto dell’opera deve andare più lontano della semplice presentazione dei singoli oggetti di cui consiste. Ma una simile definizione è troppo ampia per il nostro assunto; giacchè allarga la nozione di espressione per includervi ogni sorta di comunicazione”.

Questo passo può ben essere avvicinato, pur con i dubbi che l’autore stesso esprimeva rispetto alla sua teoria, al lavoro concreto di Anna Esposito. il senso profondo della sua operazione ironica e combinatoria è proprio quello di allargare la nozione

di espressione a quella di comunicazione. certo, Anna Esposito ha fatto questo sul- la base di impulsi morali e civili mescolati a un gusto sottile per la moltiplicazione e decostruzione dell’immagine. da vera artista non si è posta l’esigenza di nutrire il suo lavoro di presupposti teoretici estranei alla concretezza della fabbricazione. Ma non c’è dubbio che l’insieme dell’opera della Esposito ha un senso speculativo so- stanziale e si vorrebbe quasi dire teorico, formulato con grande e convinta energia creativa che risulta sempre molto forte all’osservatore, e il fascino indubbio promanante dalle sue immagini trascina inevitabilmente verso un ambito di pensiero che confina direttamente con l’indagine filosofica sulla struttura dell’esistenza rispetto all’opera d’arte e sul senso che possa essere desunto dalla forma delle immagini che si accampano con un intento marcato di dominio e occupazione dello spazio esteti- co per farne oggetto di eletto divertimento e di monito continuo alla nostra stessa capacità di osservare.

la Esposito mette continuamente alla prova il suo spettatore. non è una enigmista ma sembra quasi trarre da quel difficile terreno di ricerca dell’ingegno umano la volontà di attrarre l’attenzione di chi guarda alla scoperta di soluzioni e problemi che si rincorrono senza posa.

l’opera di Anna Esposito pretende sempre di essere “capita” nelle sue componenti e nel suo significato generale perché ha in sé una sorta di sottofondo per cui l’argomento tende a spostarsi anche nel momento in cui si è compresa esattamente la chiave di soluzione del quesito posto dall’opera stessa. Perché il quesito non è tanto nel riconoscimento delle continue metafore visive che l’artista ci propone, ma nella comprensione della metafora generale sottesa a tutto il lavoro.

la nostra mostra lo fa ben capire perché presenta una ricognizione esauriente sulla carriera dell’artista e permette a chiunque di valutarne le diverse fasi, tutte stretta- mente interconnesse.
Ma quello che emerge è la coerenza e la limpidezza dello sguardo dell’artista che sa indignarsi di molte cose ma sa mantenere con la stessa costanza e dolcezza una com- ponente di autoironia che non la fa mai approdare sullo scranno del moralista senza per questo rinunciare a quella dimensione morale che giustifica appieno tutto il suo lavoro.
Emerge così l’immagine di un’artista di cultura sottile ma aliena da qualunque cavillo intellettualistico, spontanea e sincera, votata nel contempo a una vera e propria aristocrazia della forma che non ammette sbavature, sempre attentamente calibrata e controllata con un senso quasi classico della impaginazione che ne caratterizza lo stile in modo inequivocabile conferendole una posizione singolare nel panorama dell’arte italiana tra ventesimo e ventunesimo secolo. È un’artista apparentemente attenta soprattutto all’attualità dei dati comunicativi. E certamente questo è un aspetto fonda- mentale della sua creatività.

Bisogna, però, guardare oltre per cogliere in pieno il senso profondo del suo lavoro perché la Esposito, in definitiva, tende a un discorso universale destinato a restare efficace anche al mutare delle circostanze storiche e degli orientamenti dei fruitori.

Claudio Strinati