Marcello Venturoli

Duce-Duce, 1973

“In poco più di tre anni la pittrice romana Anna Esposito ha raggiunto la fisionomia così personale e riconoscibile nel quadro delle esperienze dopo la pop-art, da essere considerata piuttosto come una piccola rivelazione, che come un’artista in fieri. E benché i mezzi da lei adoperati siano semplici, (l’immagine ready-made della vita quotidiana, quale noi siamo abituati a vedere attraverso i mass media) i risultati delle sue manipolazioni, reiterazioni, rilievi e collages non sono lo specchio di esperimenti, ma precisi e poetici giudizi sui miti, i personaggi, le tragedie e le speranze di oggi, in messaggi di inequivocabile autorità figurativa.
Chè uno degli aspetti della sua arte è proprio quel modo di sorridere o di ridere attraverso la visione, senza per questo rinunciare alla severità delle sue opinioni, per la scelta responsabile e niente affatto qualunquistica dei temi e dei significati, per la rara unità che si festeggia in quasi tutte le sue opere tra contenuto e forma, tra ragione di dire e ragione di fare attraverso quella e non altra soluzione stilistica, per il potere di persuasione che la prima intuizione folgorante acquista dentro la sua officina. […] Dire che la Esposito assuma precisi atteggiamenti politici nel significato partitico della parola, sarebbe forzare la mano al suo modo democratico e spassionato di vedere i fatti del mondo; ma certi personaggi come la reiterazione di Agnelli seduto in poltrona, che gioca con se stesso per combattere il sonno […] o come il Mussolini di «Duce-Duce» in varia posa di sagoma quasi da tirassegno, fuori dal contesto ruggente degli anni Venti, un Mussolini come ormai lo vedono i giovani, figurina grottesca dell’atleta di Stato, dell’esibizionismo superuomistico, sono invenzioni che rivelano immediatamente quel particolare buon senso, metà dell’uomo della strada e metà proletario, che anima Anna Esposito e la fanno artista, prima di ogni altra cosa: una donna nella vita, che lottando per l’esistenza piuttosto duramente trova dentro di se obiettività e distacco di opinioni e di sentimenti e restando proletaria al fondo, per immediatezza e vivacità di accenti, giudica nella verifica dell’arte, affida alla mediazione dell’immagine il suo credo politico. […]
Certo queste fantasie, queste interpretazioni, dissacrazioni, simpatie e ironie, trovano di volta in volta la loro giusta forma, ora nel collage puro e semplice, ora in una soluzione mista, che aggiunge all’immagine fotografica elementi in rilievo, ora nella moltiplicazione e nell’accostamento della stessa immagine, come nei modi del dinamismo futurista influenzati dal cinema, ora l’immagine assume spazi precisi in una sorta di quinta, nel breve habitat teatrale della bacheca o fa teatro e spazio, per il sovrapporsi dei piani di plexiglas, su ognuno dei quali l’artista ha incollato la parte dell’immagine che vuole mostrare in un altro contesto. “

[Marcello Venturoli, Anna Esposito, Galleria Menghelli, Firenze, 1975]