Note biografiche

Anna Esposito è nata a Roma, dove vive a lavora.

Il percorso artistico di Anna Esposito s’inserisce e attraversa creativamente gli ultimi cinquant’anni di vita culturale italiana. Inizia il periodo di attività negli anni ’60 – la sua prima mostra risale al 1966 -, periodo in cui al fianco di artisti come Schifano e Rotella esplora l’ambiente circostante, considerandolo stimolo di possibili operazioni artistiche.

Siamo nell’epoca in cui la città è centro dell’evoluzione della società italiana: l’urbanizzazione di massa, il consumismo e, parallelamente, l’affermazione del cinema come straordinario strumento di comunicazione e critica, sono considerati dagli artisti delle arti visive punti di riferimento imprescindibili. Sono questi gli anni in cui il consumismo di massa si afferma come fenomeno sociale non più transitorio e la contestazione giovanile esplode nei movimenti studenteschi.

In tale contesto, artisti come Anna Esposito sentono il bisogno di sintonizzarsi con le forze emergenti e vitali della società (giovani e donne), mentre nascono esperienze creative che rendono l’arte parte integrante della vita sociale e del progresso collettivo. Cambiano così le tecniche artistiche; cambiano i luoghi dell’arte e le gallerie private diventano centri di happening; cambia il pubblico a cui gli artisti si rivolgono, non più l’élite d’intenditori e collezionisti, ma vasti strati sociali, nuovi fruitori di opere d’arte. Di conseguenza, si elabora un nuovo linguaggio che parte dalle innovazioni già acquisite quelle dell’industria cinematografica, che con i suoi manifesti con in effige film e divi, popola i muri di piazze e case. Ed è proprio qui che Anna Esposito interviene creativamente, concependo il manifesto come forma di comunicazione di grande impatto visivo in grado di veicolare i più vari messaggi: propaganda ideologica, pubblicità ai generi di consumo, ma anche stimolo ai bisogni superflui e inappagati. In sintesi, il manifesto è espressione di ciò che si vuole avere e che non si avrà mai o che forse, dopo averlo avuto, ci si accorgerebbe della sua intrinseca inutilità.

L’obiettivo dell’artista diventa dunque far cogliere allo spettatore tale contraddizione: nelle sue opere pezzi di manifesti strappati, incollati sulla tela, riadattati, ridipinti, sono un gioco combinatorio che ne inverte il significato originario ed evidenzia le contraddizioni interne al nostro modo di vivere e pensare, il senso dell’effimero, del transitorio.

Una vera e propria contestazione, un rifiuto della società consumistica, ma con uno sguardo disincantato, ironico, mai cinico. A differenza infatti di Rotella, Schifano, Manzoni – che hanno dato una visione duramente critica della società fino a trasmettere un senso intimo di sfiducia verso l’uomo -, Anna Esposito mantiene un suo intimo candore che consente, a chi guarda, di sorridere e non deprimersi.

Avere il coraggio di cogliere in flagrante le contraddizioni di un’epoca e di un costume sociale universalmente accettato, puntare il dito sulle molteplici forme di stupidità collettiva restano un lavoro socialmente utile. E quello che è stato un punto di arrivo per molti, distrutti dalla critica, dal senso d’isolamento, da incomprensione e antipatia suscitati, per Anna Esposito è stato un punto di partenza. Lei non si è mai arenata e, combattiva, ha portato avanti le proprie idee continuando a produrre opere di grande rilevanza artistica e sociale, rinnovandosi tecnicamente e poeticamente, come testimoniato negli anni ’80 e ’90, quelli dell’esplosione del problema ecologico. E poi il mondo animale, quello umano, i grattacieli, gli agglomerati di soldati, la chiesa e i suoi vescovi, il tutto trattato con profondità, lasciando sempre allo spettatore quello che, tornando al mondo cinematografico, non esitiamo a definire un “riso amaro”.

L’attività artistica di Anna Esposito ne fa un’artista, pur connessa alla dimensione “pop”, completamente scevra da qualsiasi vincolo di definizione, libera da qualsiasi condizionamento e dalla forzata ricerca di affibbiarne una scuola artistica. Mai ripetitiva, eppure coerente e logica dalla prima all’ultima opera, Anna è artista della sorpresa e della trasformazione incessante, del “tutto può diventare altro”, come ha sapientemente scritto Elio Pecora.

La prima mostra dell’artista risale al 1966 e già due anni dopo è presente al Palazzo delle Esposizioni di Roma con una collettiva in occasione della VI Biennale delle Arti figurative. Poi un vorticoso crescendo, che l’ha portata in tutto il mondo a partire dagli anni Settanta e nelle sedi espositive più prestigiose, vincendo anche numerosi premi. Il coraggio le ha permesso di intraprendere una camera importante, fatta di tappe spesso all’epoca precluse alle donne, come le Biennali di San Paolo del Brasile e di Venezia, la Quadriennale di Roma, inviti e scritti di Palma Bucarelli, Achille Bonito Oliva, Elio Pecora, Claudio Strinati e molti altri critici e intellettuali del Novecento.